L’Italia è in guerra. Truppe tricolori combattono in Afganistan. Lo chiamano
“peace keeping”: suona meglio e mette la coscienza a posto. Ma, là, in
Afganistan, ogni giorno bombardano, uccidono, imprigionano, torturano. Sette
anni di guerra e la chiamano pace. Un massacro senza fine.
Ma che importa?
Gli affari dei petrolieri e dei fabbricanti di armivanno a gonfie vele. In
occasione del 4 novembre, festa della “vittoria” in quell’immane
carneficina nazionalista che fu la prima guerra mondiale, La Russa invia i
militari nelle scuole per una bella lezione di propaganda bellica: l’esercito
ha bisogno di volontari. Ma che cosa sia stata quella guerra ce lo dicono i
numeri. Morti: 50.000 civili e 680.000 mila soldati. Prigionieri e dispersi:
600.000. Feriti e mutilati: 950.000. Disertori e renitenti: 370.000 denunce,
350.000 i processi con 220.000 condanne detentive. Condannati a morte: 729.
Fucilazioni sommarie e decimazioni: 2.000, cui sommare i 5.000 fucilati durante
la disfatta di Caporetto.
Questa storia, quella dei disertori e dei ribelli, è quella che noi
ricordardiamo, quella che in questo 2008 di guerra può dare il migliore
“insegnamento” a tutti.
In Afganistan ci sono 2.600 soldati italiani: questo orrore costa a tutti noi
milioni di euro, sottratti a scuola, trasporti, sanità, tutela del territorio.
La spesa di guerra comprende il mantenimento di basi, caserme, aeroporti ed un
buon numero di ben addestrati assassini di professione. I governi di destra e
quelli di sinistra hanno fatto a gara nel finanziare le imprese belliche. A
Vicenza vogliono fare la più grande base militare USA d’Europa; a Novara
vogliono costruire uno stabilimento per l’assemblaggio dei nuovi bombardieri
F35, giocattolini da 150 milioni di euro l’uno. L’esercito è anche nelle
nostre strade. Nel mirino ci sono i poveri, gli immigrati, i rom, i senza casa,
chi si ribella alla devastazione del territorio ed al saccheggio delle risorse.
Lo Stato militarizza il territorio e tratta da delinquenti quelli che si
ribellano.
È la guerra.
La guerra interna: anche questa serve alla pace, la pace sociale. Guerra
interna e guerra esterna sono due facce della stessa medaglia: quella del potere
che perpetua se stesso ad ogni costo, quella del capitalismo che macina vite,
risorse e futuro della più parte di noi.
Opporsi alla guerra senza opporsi al militarismo, senza opporsi all’esistenza
stessa degli eserciti, vere organizzazioni criminali legali, è mera
testimonianza. Fermare la guerra, incepparne i meccanismi è un’urgenza che
non possiamo eludere. A partire da noi, dal territorio in cui viviamo, dove ci
sono caserme, aeroporti, scuole militari, fabbriche d’armi.
Contro tutte le guerre, contro tutti gli eserciti.
SpazioLibero51